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CORTE DI CASSAZIONE, Sezioni Unite, Sentenza n. 4485 del 23/02/2018

Massima

Le Sezioni Unite della Corte di cassazione indicano i principi che regolano le procedure per recupero dei crediti per spese giudiziali dell’avvocato. La Suprema Corte ha affermato che:

  • Non è proponibile l'azione sia con il rito di cognizione ordinaria e sia con quello del procedimento sommario ordinario di cui agli artt. 702 bis e segg. c.p.c.;
  • la controversia di cui all'art. 28 della l. n. 794 del 1942, sia se introdotta ai sensi dell'art. 702 bis c.p.c., sia in via monitoria, ha ad oggetto la domanda di condanna del cliente al pagamento delle spettanze giudiziali dell'avvocato, sia nel caso in cui vi è contestazione dell'an debeatur, sia quanto se non vi sia;
  • una volta introdotta la domanda, questa resta soggetta al rito di cui all'art. 14 del d.lgs. n. 150 del 2011, anche quando il cliente sollevi contestazioni riguardo all'an; soltanto qualora il convenuto svolga una difesa che si articoli in via riconvenzionale o di compensazione o di accertamento pregiudiziale, l'introduzione di una domanda ulteriore e la sua esorbitanza dal rito di cui all'art. 14 comporta che per la trattazione si ricorre al sommario.
  • Se si pone anche un problema di connessione ex art. artt. 34, 35 e 36 c.p.c., e, se è stata adita la corte di appello, sorge il problema della soggezione della domanda del cliente alla competenza di un giudice di primo grado, in tali casi si impone la rimessione al giudice di primo grado. 

CORTE DI CASSAZIONE, Sezioni Unite, Sentenza n. 4485 del 23/02/2018

Le parti (omissis)

.....

......

FATTI DI CAUSA

  1. 1. Nel dicembre del 2014 l’Avvocato P.D.A. adiva il Tribunale di Civitavecchia con ricorso ex art. 702-bis cod. proc. civ. e assumeva di avere svolto attività professionale giudiziale su incarico e

per conto di A. L.: a) sia nel primo che nel secondo grado del giudizio di separazione personale fra Ia stessa ed il coniuge Fabrizio Alteri, rispettivamente davanti al Tribunale di Roma ed alla

Corte d'Appello di Roma; b) sia richiedendo ed ottenendo vari decreti ingiuntivi dal Giudice di Pace di Roma per somme dovute dal coniuge a titolo di assegno mensile di mantenimento per i figli ed a titolo di contribuzione In spese straordinarie. Adducendo di avere inutilmente chiesto alla L. di provvedere al saldo delle relative competenze professionali, ne chiedeva la condanna a corrispondergli la somma di euro 23.095,55 oltre accessori, nonché quella di euro 1.832,92 a

titolo di rimborso spese.

  1. 2. Con decreto del 30 dicembre 2014 il Giudice designato alla trattazione fissava per Ia comparizione “udienza collegiale” (cosi è detto espressamente nel provvedimento) del 26 novembre 2015 (in tal modo mostrando implicitamente di considerare il procedimento

introdotto ai sensi dell’art. 14 del d.lgs. n. 150 del 2011), ma, su istanza del ricorrente in data 16 gennaio 2015 - nella quale egli rappresentava di avere introdotto, come si evinceva dalle conclusioni del ricorso, un “ordinari0” procedimento sommario ai sensi dell’art. 702 bis e seguenti, del codice di procedura civile (da trattarsi e decidersi, pertanto, dal Tribunale in composizione monocratica) —   Lo stesso Giudice, con decreto in pari data, revocava il precedente decreto e fissava l’udienza di comparizione per il 4 dicembre 2015 ai fini della trattazione in composizione monocratica.

  1. 3. A. L., a seguito della notifica del ricorso e del decreto di fissazione dell’udienza, si costituiva e chiedeva in principalità il rigetto della domanda e in subordine la rideterminazione

in minor misura della somma dovuta, assumendo in primo luogo di avere “provveduto all’integrale pagamento delle competenze dell’avv. D.A. per l’attività dallo stesso svolta” ed eccependo inoltre che il compenso per l’attività professionale svolta negli anni 2010-2011 si doveva intendere prescritto ai sensi dell'art. 2956 cod. civ.

  1. 4. All’udienza di comparizione ii Tribunale si riservava e, quindi, con ordinanza del 28 dicembre 2015, dichiarava inammissibilità del ricorso e compensava le spese, enunciando la seguente motivazione:

<< [_...] a norma dell’art. 14 del d.lgs. n. 150 del 2011, competente a

decidere le controversie di cui art. 28 della legge n. 794 del 1942

“l’ufficio giudiziario di merito adito per il processo nel quale l'avvocato

ha prestato la propria opera”; [....] che nel caso di specie I’avv.

D'A. ha prestato la sua attività professionale nei confronti della

  1. L. dinanzi al Tribunale di Roma, alla Corte d’Appello di Roma e

al Giudice di Pace di Roma; che inoltre la resistente ha eccepito la

sussistenza di cause estintive deIl 'obbligazione; ritenuto che lo

speciale procedimento di cui all’art. 14 del d.lgs. n. 150 del 2011 non

trovi applicazione Iaddove, anche a seguito delle eccezioni sollevate

dal cliente convenuto in giudizio, si verifichi un ampliamento del

thema decidendum oltre Ia semplice determinazione degli onorari

forensi, come si desume sia dai lavori preparatori del citato testo di

legge sia dalla giurisprudenza formatasi nel vigore degli artt. 28 e 29

della legge n. 794 del 1942, costantemente ritenuta applicabile anche

al “nuovo" procedimento di cui all’art. 14 del d.lgs. n. 150 del 2011

(cfr. in tal senso Cass. 17053/2011; Cass. 13640/10; Cass.23344/2008; Cass. 17622/2007);

 rilevato, infine, che la convenuta risiede in Roma; ritenuto che ricorrono gravi ed eccezionali motivi per disporre l’integrale compensazione delle spese di lite tra le parti

considerate le ragioni della decisione e il rilievo officioso

dell’inammissibilità del ricorso e deIl'incompetenza funzionale del

giudice adito>>.

  1. 5. Avverso l’ordinanza il D'A. ha proposto ricorso per

regolamento di competenza, chiedendo dichiararsi Ia competenza del

Tribunale di Civitavecchia in composizione monocratica ed a sostegno

adducendo: di avere introdotto il giudizio con un ricorso ai sensi

dell'art. 702-bis cod. proc. civ. secondo il rito sommario ordinario e

che ad esso era applicabile Ia regola di competenza di cui all'art. 18

cod. proc. civ., Ia quale, essendo la L. residente in Cerveteri

(come da certificato di residenza allegato al ricorso ex art. 702-bis),

radicava il giudizio in Civitavecchia; che, pertanto, il Tribunale di

Civitavecchia aveva errato, perché il d.lgs. n. 150 del 2011 aveva

lasciato inalterati gli strumenti ordinari di tutela utilizzabili dal

difensore in alternativa al procedimento speciale già regolato dalla I.

  1. n. 794 del 1942 e, dunque, sia il procedimento di cognizione ordinario

sia il procedimento sommario ordinario ex art. 702-bis cod. proc. civ.

  1. 6. AI ricorso per regolamento non vi é stata resistenza della

L..

  1. 7. La Sesta Sezione-2 richiedeva al Pubblico Ministero presso la

Corte di formulare, ai sensi dell’art. 380-ter cod. proc. civ. Ie sue

conclusioni scritte ed all’esito del loro deposito veniva fissata la

trattazione in adunanza camerale, in vista della quale il ricorrente

depositava memoria.

A seguito dell'adunanza la Sesta Sezione 2, con ordinanza n.

13272 del 25 maggio 2017, ravvisata l’esistenza nella giurisprudenza

delle sezioni semplici di un contrasto sulla ricostruzione dei limiti e

dell’oggett0 del giudizio di cui all’al’t. 14 del d.lgs. n. 150 del 2011,

nonché di discordi opinioni della dottrina e della giurisprudenza di

merito, rimetteva il procedimento al Primo Presidente per

l’assegnazione alle Sezioni Unite.

  1. 8. II Primo Presidente ha fissata la trattazione davanti alle Sezioni

Unite in udienza pubblica ed il ricorrente ha depositato memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

  1. 1. Le questioni che le Sezioni Unite sono chiamate ad esaminare

concernono: a) innanzitutto accertare se, per effetto dell’entrata in

vigore della normativa di cui all’art. 14 del d.lgs. 1° settembre 2011

  1. n. 150 e del trasferimento in essa del procedimento già disciplinato

dagli artt. 28-30 della I. 13 giugno 1942 n. 794 che poteva, in ipotesi,

giustificarne la trattazione con quel procedimento (com’é noto allora

riconducibile alla figura generale del procedimento in camera di

consiglio, di cui agli artt. 737 e segg. cod. proc. civ.), la situazione

quo ante riguardo ai procedimenti utilizzabili dall’avvocato per la

tutela del credito le prestazioni indicate nella normativa del 1942,

quale si presentava anteriormente, sia rimasta oppure non incisa e, in

caso positivo, in che modo; b) in secondo luogo l'accertare se quel

trasferimento sia stato realizzato dal legislatore lasciando inalterato la

situazione giuridica che poteva essere azionata con il procedimento di

cui alla legge del 1942, oppure, per il modo in cui si é realizzato, ne

abbia comportato eventualmente un ampliamento ed eventualmente

l’assunzione di forma di tutela esclusiva.

  1. 2. Preliminarmente occorre verificare se l’istanza di regolamento

di competenza é ammissibile.

2.1. Il giudice di merito, infatti, ha pronunciato un’ordinanza con

cui, nel dispositivo, ha chiuso il processo con una declaratoria formale

di inammissibilità e non di incompetenza.

   La decisione è stata resa su un procedimento che risulta trattato

formalmente come procedimento ai sensi degli artt. 702-bis e segg.

cod. proc. civ.: ciò é necessaria implicazione della circostanza che il

Tribunale - di fronte alla prospettazione da parte dell’attore, a seguito

della fissazione dell’udienza di comparizione in sede collegiale, che il

giudizio era stato introdotto non già ai sensi dell'art. 14 del d.lgs. n.

150 del 2011 (che, nell’ipotesi di investitura del tribunale, impone -

secondo inciso del comma 2 - Ia decisione, ma non la trattazione,

collegiale, peraltro in modo non diverso da quanto avviene sempre

per le controversie di competenza collegiale di quel giudice), bensi ai

sensi degli artt. 702-bis e segg. cod. proc. civ. - ha revocato con

proprio decreto il decreto precedente con cui aveva fissato l’udienza

per Ia trattazione collegiale e disposto la trattazione in altra udienza

in composizione monocratica, nella quale si é riservato ed all’esito ha

pronunciato l’0rdinanza impugnata.

L’essere stato trattato il procedimento come procedimento ai

sensi degli artt. 702-bis e segg. cod. proc. civ. comporta la

conseguenza che la decisione qui impugnata si debba intendere resa

secondo la disciplina di quel procedimento, nell’ambito della quale

l’art. 702-ter, secondo comma cod. proc. civ. prevede che <<se [ii

giudice] rileva che la domanda non rientra tra quelle indicate nell'art.

702-bis [....], con ordinanza non impugnabile, la dichiara

inammissibile.>>, mentre il primo comma prevede che il giudice, se

ritiene di essere incompetente, lo dichiara con ordinanza.

Qualora l’ordinanza impugnata, come suggerirebbe il suo

dispositivo, fosse da intendere pronunciata ai sensi dell’art. 702-ter,

secondo comma, cioè come decisione con cui il Tribunale di

Civitavecchia ha ritenuto soltanto che la domanda proposta

Ric. 2016 n. 03644 5el. SU - ud. 24-10-2017 -6-

dall’Avv0cato D’Alberti non rientrasse fra quelle indicate dall’art. 702-

bis cod. proc. civ., il rimedio del regolamento per competenza

sarebbe stato proposto inammissibilmente, perché la pronuncia

impugnata non sarebbe una pronuncia sulla competenza. Si

tratterebbe solo di una pronuncia con cui il detto tribunale ha inteso

affermare che ii D’Alberti aveva proposto la domanda ai sensi deIl'art.

702-bis cod. proc. civ., cioè secondo il procedimento sommario

disciplinato dal codice di procedura civile, al di fuori delle ipotesi

consentite. II provvedimento sarebbe stato allora inimpugnabile ai

sensi del citato terzo comma dell’art. 702-ter.

2.2. Questa interpretazione del provvedimento supporrebbe,

tuttavia, che ii Tribunale abbia soltanto ritenuto che Ia domanda

proposta dalI'attore si sarebbe dovuta proporre necessariamente

secondo un rito diverso.

Tuttavia, I'esame della motivazione — doveroso quanto in una

pronuncia giurisdizionale dispositivo e motivazione siano coeve — non

rivela affatto un convincimento espresso nel senso dell’adozi0ne di

un’ordinanza ai sensi del secondo comma dell’art. 702—ter cod. proc.

civ., perché:

1a) dopo una preliminare affermazione di inammissibilita

del ricorso, il Tribunale formula un rilievo che attiene alla competenza

stabilita dall’art. 14 citato escludendola e cosi mostrando di dare

rilievo - pur avendo proceduto alla trattazione di un procedimento ai

sensi del rito sommario codicistico — alla disciplina di cui a quella

norma, quasi che al contrario (rispetto alla scelta espressa con la

revoca del decreto che aveva disposto Ia trattazione collegiale) fosse

stato investito o si fosse dovuto considerare investito di un

procedimento ex art. 14;

 1b) di seguito, sul rilievo che la resistente

aveva eccepito cause estintive del credito, si colloca nuovamente su

un piano che implica il dover decidere secondo il procedimento ai

sensi dell’art. 14, perché assume che esso, non diversamente da

quanto accadeva per il rito di cui agli artt. 28 e segg. della l. n. 794

del 1942, non sarebbe stato applicabile in presenza di quelle

eccezioni; 1c) in fine, rilevando che Ia convenuta risiedeva in Roma,

sembrerebbe collocarsi al contrario sul piano della decisione relativa

alla competenza su un procedimento ex art. 702—b/'5 e segg. cod.

proc. civ., atteso che alla competenza secondo il procedimento di cui

all’art. 14 ha alluso prima.

Poiché il tessuto motivazionale si sviluppa con due affermazioni,

l'una iniziale e l’altra a chiusura, che esprimono o comunque

implicano la negazione della competenza del tribunale adito e sono

fra loro intervallate da una valutazione di “inammissibilità” del

procedimento ricollegata all’atteggiarsi delle difese della convenuta, si

deve ritenere che l’0rdinanza impugnata debba interpretarsi come

una decisione che ha inteso negare la competenza. E, pertanto, sulla

base di questi rilievi si deve allora ritenere che il tribunale, pur

avendo conclusivamente dichiarato il procedimento inammissibile,

risulta, in realtà, avere declinato su di esso la propria competenza,

come se avesse inteso negare la propria competenza sia ai sensi degli

artt. 702-bis e segg. cod. proc. civ, cioè secondo il procedimento

sommario codicistico (con un'ordinanza ai sensi del primo comma

deIl’art. 702-ter), sia ai sensi dell’art. 14 del d.lgs. n. 150 del 2011.

Ne consegue che, avuto riguardo alla sostanza del decisum,

risulta corretta la valutazione con cui il ricorrente ha ritenuto di

assoggettare la pronuncia a regolamento di competenza, sicché

l’impugnazione con tale mezzo risulta ammissibile, perché la

decisione non si può considerare come effettiva pronuncia ai sensi

dell’art. 702-ter, secondo comma, cod. proc. civ., ma si deve, invece,

reputare pronuncia ai sensi del primo comma di quella norma.

Non può avere rilievo in senso contrario Ia circostanza che,

negando la propria competenza sia ai sensi dell’art. 14 citato, sia ai

sensi dell’art. 702-ter, primo comma, cod. proc. civ., il Tribunale di

Civitavecchia si sia astenuto, dal fornire espressamente l’indicazione

del giudice competente. In disparte che tale indicazione risulta nella

motivazione expressis verbis per il procedimento ai sensi dell'art. 14

ed implicitamente per quello codicistico, in ogni caso, ove tale

indicazione si considerasse mancata, il regolamento sarebbe stato

ammissibile, perché é esperibile quando il giudice di merito non

indichi il giudice ritenuto competente (si veda già Cass. n. 777 del

1963; più di recente, Cass. n. 9515 del 1992 e Cass. (ord. interloc.)

  1. n. 27373 del 2005).
  2. 3. Si può ora passare all’esame delle questioni esegetiche

prospettate dall’ordinanza di rimessione, che appaiono rilevanti per

decidere il regolamento di competenza.

Punto centrale in proposito é stabilire quale incidenza abbia avuto

l’intervento legislativo di cui al d.lgs. n. 150 del 2011, che,

intervenendo sulle disposizioni di cui agli articoli 28-30 della I. n. 794

del 1942, ha sostituito l’art. 28 ed abrogato gli artt. 29 e 30,

trasferendo Ia disciplina procedimentale nell’art. 14 del d.lgs. e

riconducendola alla figura del procedimento di cognizione sommario,

ma non nella versione di cui al modello codicistico, bensi secondo un

modello speciale.

3.1. Essendo l’intervento legislativo in questione avvenuto sulla

base della delega di cui all’art. 54 della I. n. 69 del 2009, mette conto

di ricordare che il comma 4 di tale norma, nella lettera a), imponeva

come principio e criterio direttivo e, quindi, di esercizio della delega,

che dovessero restare <<fermi i criteri di competenza, nonché i

criteri di composizione dell'organo giudicante, previsti dalla

legislazione vigente> >.

Ne segue che, nell’esegesi del nuovo art. 28 e dell’art. 14 ii

criterio di interpretazione costituzionalmente orientata - per cui la

norma delegata deve essere interpretata in conformità alla delega,

cioè in modo da rispettarne i principi e criteri direttivi, essendo

altrimenti di dubbia costituzionalità — impone di verificare se il

Ric. 2016 n. 03644 sez. SU - ud, 24-10-2017 -9-

disposto della norma abbia rispettato i criteri di delega ed in

particolare ii criterio della c.d. invarianza della competenza.

La verifica suppone, evidentemente, l’accertare come la

competenza risultava regolata prima della riforma.

3.2. Il  vecchio testo dell’art. 28, sotto Ia rubrica "Forma

dell‘istanza di Iiquidazione degli onorari e dei diritti" recitava: <<Per

Ia Iiquidazione delle spese, degli onorari e dei diritti nei confronti del

proprio cliente l'avvocato [o il procuratore], dopo la decisione della

causa o l’estinzione della procura, deve, se non intende seguire la

procedura di cui all'art. 633 e seguenti del codice di procedura civile,

proporre ricorso al capo dell’ufficio giudiziario adito per ii processo>>.

Il nuovo testo dell’art. 28, sostituito dall’art. 34, n. 16, lettera a)

del d.lgs. 1/9/2011 n. 150, sotto la stessa rubrica, dispone ora che:

<<Per Ia Iiquidazione delle spese, degli onorari e dei diritti nei

confronti del proprio cliente l'avvocato, dopo la decisione della causa

o l'estinzione della procura, se non intende seguire il procedimento di

cui agli art. 633 e ss. del codice di procedura civile, procede ai sensi

dell‘art. 14 del d.lgs. 1 settembre 2011 n. 15O>>.

II confronto fra le due norme evidenzia che la controversia

oggetto del disposto normativo é rimasta individuata nei medesimi

termini.

Si tratta — secondo un'esegesi consolidata - di una controversia e,

quindi, di una correlata domanda, con cui l’Avvocato (0/im anche il

procuratore, quando si differenziavano le due figure) chiede la

“liquidazione" delle spettanze della sua attività professionale svolta in

un giudizio civile 0 con L’espletamento di prestazioni professionali che

si pongano “in stretto rapporto di dipendenza con il mandato relativo

alla difesa 0 alla rappresentanza giudiziale, in modo da potersi

considerare esplicazione di attività strumentale 0 complementare di

quella propriamente processuale” (ex multis, in generale Cass. n.

3744 del 2006; n. 13847 del 2007; per la transazione della lite, Cass.

  1. n. 25675 del 2009 e Cass. n. 5566 del 2001, per l'estensione anche

all’ipotesi in cui Ia transazione non si sia verificata con conciliazione in

sede giudiziale; Cass. n. 2282 del 1963 per L’estensione al difensore

dell’avversario nella fattispecie disciplinata dall’art. 68 del r.d.l. n.

1578 del 1933; Cass. n. 6402 del 1980 e n. 106 del 1981 per

l’attività professionale relativa al precetto ed al pignoramento),

restando, invece, esclusa l’attività professionale stragiudiziale civile

che non abbia detta natura, quella svolta nel processo penale (anche

in funzione dell'esercizio dell’azione civile in sede penale) e

amministrativa, o davanti a giudici speciali.

3.3. Ora, se ci si riporta al momento in cui la formula

identificativa delle dette controversie venne introdotta

nell’ordinamento (per il momento si accantona il problema della sua

esegesi), cioé quello dell’entrata in vigore della I. n. 794 del 1942, si

constata che esso fu individuato dalI’art. 31 della stessa legge nel 21

aprile 1942 con evidente singolarità, tenuto conto che la legge

venne pubblicata sulla G.U. n. 172 del 27 luglio 1942). Ebbene, quella

data coincise con la data di efficacia (di esecuzione, secondo la

formulazione usata) del Codice di Procedura Civile del 1940, siccome

disposta dall’art. 1 del r.d. 28 ottobre 1940, n. 1443, recante

L’approvazione di quel codice.

La coincidenza di entrata in vigore dell'art. 28 e del codice di rito

escludeva che alla disciplina speciale contenuta nella legge n. 794 del

1942 potesse attribuirsi il valore di lex specialis sopravvenuta rispetto

al codice, si da giustificare l’applicazione del criterio esegetico per cui

Iex posterior specialis derogat legi priori generalis o di quello

esattamente contrario

L’interprete, dunque, avrebbe dovuto interrogarsi sul se Ia

contemporaneità dell’entrata in vigore delle due fonti non rivelasse in

realtà una volontà del legislatore di attribuire alla Iegge n. 794 del

1942 L’effetto di individuare le modalità di esercizio deIl’azione per le

controversie introdotte dalI'Avvocato (ed allora dal procuratore) per la

“liquidazione delle spese, degli onorari e dei diritti nei confronti del

proprio cliente” in modo esclusivo, cioé come introducibili o tramite lo

speciale procedimento da essa previsto o tramite le forme — in esso

pure evocate — del procedimento per decreto ingiuntivo ex artt. 633 e

segg. cod. proc. civ., con la conseguenza dell'esclusione della

possibilità di introdurre la controversia con Ie forme dell’ordinario

processo di cognizione disciplinato dagli artt. 163 e segg. cod. proc.

civ.

L'uso da parte del legislatore nell’art. 28 testo originario del verbo

“deve”, condizionato all’altra espressione “se non intende”, avrebbe

dovuto convincere della bontà di tale esegesi, tanto più  che I’art. 30

della 1. n. 794 del 1942, per il caso in cui I’azione fosse stata

esercitata con il rito monitorio, prevedeva nel primo comma la

trattazione con il rito camerale e non con quello di cognizione piena,

giacché al secondo comma, rinviava all'art. 29, che regolava lo

svolgimento del procedimento introdotto ai sensi dell’art. 28.

     Nella logica del legislatore dell'epoca detta opzione si giustificava

— stante la soggezione all'agile rito camerale - in funzione della

garanzia al professionista di un mezzo rapido per ottenere le sue

spettanze e, quindi, suonava come privilegiata, anche se, come

contraltare vi era la previsione della inimpugnabilità del

provvedimento e, prima ancora, il carattere deformalizzato o poco

formalizzato delle regole del processo camerale, pur con le

specificazioni di cui alle due citate norme.

Entrata in vigore la Costituzione, d'altro canto, la negatività della

prima previsione risultava, poi, neutralizzata dall’art. 111, secondo comma, che garantiva I’impugnazione per violazione di legge

in Cassazione. Restava solo la seconda.

3.4. Com’é noto, sia la dottrina sia la giurisprudenza di questa

Corte si posero, nei primi anni di applicazione della legge speciale, il

problema della concorrenza con Ie due forme di azione previste

dall’art. 28 e segg. (rispetto alla seconda delle quali non si poneva in

dubbio, stante l’espresso dettato Iegislativo, che la trattazione

dovesse comunque avvenire con il rito camerale ed anzi si sosteneva

che, ove il provvedimento definitivo avesse avuto forma di sentenza e

non di ordinanza, ciò non facesse aggio sulla esperibilità del solo

rimedio del ricorso per cassazione straordinario) della possibilità per il

difensore di esercitare la sua azione anche con le forme del processo

di cognizione piena.

La giurisprudenza di questa Corte con la sentenza n. 2727 del

1950 lo escluse. Invece, con la sentenza n. 646 del 1958 e con la

sentenza n. 614 del 1960 lo ammise (non altrettanto esplicitamente

con la sentenza n. 678 del 1964). L’opzione esegetica che lasciava al

difensore Ia possibilità di introdurre la lite individuata dall’art. 28

anche con un ordinario giudizio di cognizione risultò affermata, di

seguito, da Cass. n. 152 del 1966 (presente in Italgiureweb, e

secondo la quale: <<L'espressIone deIl'art. 28 della I. 13 giugno

1942, n. 794 - a norma del quale per Ia Iiquidazione delle spese, degli

onorari e dei diritti nei confronti del proprio cliente, l‘avvocato o il

procuratore, dopo la decisione della causa o I‘estinzione della procura,

deve, se non intende seguire la procedura di cui all‘art. 633 e

seguenti del cod. proc. civ. proporre ricorso al capo dell'ufficio

giudiziario adito per il processo — va intesa nell’ambito della possibilità

di addivenire, sulla base della parcella, alla sollecita creazione di un

titolo esecutivo, e non esclude la facoltà di ottenere L’accertamento

giudiziale del credito secondo Ie norme ordinarie.>>).

Successivamente la soluzione positiva non consta aver dato adito a

contenzioso arrivato in Cassazione.

3.5. Ebbene, poiché in questa sede ci si deve interrogare sul se il

criterio dell’invarianza della competenza sia stato rispettato con la

sostituzione del testo dell'art. 28 e l’introduzi0ne del procedimento di

cui all’art. 14 e Ia questione esige che ci si debba chiedere se la

permanenza o meno della possibilità di agire con il rito ordinario

interferisca con quel criterio, é necessario individuare ii giudice che -

prima delle modifiche legislative e stante il ricordato approdo della

giurisprudenza di questa Corte - sarebbe stato competente sulla

domanda identificata nell'art. 28 della legge n. 794 del 1042.

Chi avesse voluto individuare quella competenza avrebbe dovuto

dare — limitando ii discorso alla situazione ordinamentale esistente ai

momento della sopravvenienza dell’art. 14 - ie seguenti risposte:

  1. al) I’azione avrebbe potuto essere introdotta con le forme della

cognizione ordinaria, di cui agli artt. 163 e segg. cod. proc. civ., nel

qual caso, trattandosi di pretesa relativa a somma di danaro,

operavano le ordinarie regole di competenza per valore, con la

conseguenza che l’azione poteva incardinarsi davanti al giudice di

pace o davanti al tribunale in composizione monocratica, mentre,

sotto il profilo della competenza territoriale, avrebbero trovato

applicazione i criteri generali di radicazione della competenza di cui

agli artt. 18 e 19 e quello speciale ex art. 20 cod. proc. civ.;

a2) l’azione si sarebbe potuta, inoltre, introdurre con Ie forme

degli artt. 633 e segg. cod. proc. civ., nel qual caso — ferma

l’applicazione alla eventuale successiva opposizione del rito di cui agli

artt. 29 e 30 della I. n. 794 del 1942 - la competenza risultava

regolata dall’art. 637 cod. proc. civ. e, quindi, secondo il testo vigente

al momento dell’introduzi0ne del procedimento di cui all'art. 14 (che

era ed é quello sostituito dall’art. 100 del d.lgs. n. 51 del 1998), negli

stessi termini indicati per l'azione introducibile con ii procedimento di

cognizione ordinaria (primo comma), giusta il disposto del primo

comma dell’art. 637, ma anche, ferma sempre Ia successiva

applicazione del rito camerale di cui agli artt. 28 e 29 citati: a2a) ai

sensi del secondo comma della norma, con la previsione di un criterio

concorrente di competenza per materia (nel quale la materia era

rappresentata dall'essere il credito Inerente a prestazioni svolte

presso l’ufficio adito) e per territorio, quello deIl'uffici0 giudiziario cui

ii credito si riferiva (che in tal caso poteva essere II giudice di pace, il

tribunale o anche Ia corte d'appello ed appariva sostanzialmente

coincidente con quello individuato dall’art. 29 della I. n. 794 del

1942); a2b) ai sensi del terzo comma della norma con quella del

giudice competente per valore (giudice di pace 0 tribunale

monocratico) del luogo sede del consiglio dell’ordine di iscrizione

dell’Avvocato;

a3) l’azione si sarebbe potuta introdurre con ricorso <<al capo

dell’ufficio adito per II processo>> e, quindi, con attribuzione di una

competenza per materia, secondo il procedimento ex artt. 28 e segg.

della legge del 1942 e si sarebbe dovuta trattare con il procedimento

camerale previsto in relazione ad essa, giusta il disposto dell'art. 30;

a4) inoltre, a seguito della introduzione, con la I. n. 69 del 2009,

del procedimento di cognizione sommario di cui agli artt. 702-bis e

segg. cod. proc. civ., qualora Ia domanda fosse stata introducibile

ratione valoris davanti al tribunale in via ordinaria e, dunque, davanti

al tribunale monocratico, essa avrebbe potuto essere introdotta — lo

si osserva anche se non ne conseguiva un diverso profilo di

competenza — secondo quel procedimento.

Al quadro descritto occorreva, tuttavia, aggiungere gli effetti della

introduzione della disciplina del c.d. foro del consumatore, ricollegabili

- com’é noto — dapprima all'introduzione dell'art. 1469—bis, terzo

comma, n. 19, cod. civ. e, quindi, sopravvenuto il c.d. Codice del

Consumo, di cui al d.lgs. n. 206 del 2005, alla disciplina del suo

articolo 33, comma 2, lett. u), che veniva in considerazione

allorquando il cliente contro il quale fosse stata proposta Ia domanda

individuata dall’art. 28 avesse rivestito la qualità di consumatore:

infatti, Cass. (ord.) n. 12685 del 2011 (risalente all’8 giugno 2011 e,

quindi, a prima dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 150 del 2011,

avvenuta 1l 16 settembre 2011) aveva statuito che: <<In tema di

competenza per territorio, ove un Avvocato abbia agito, con il

procedimento di ingiunzione, al fine di ottenere dal proprio cliente il

pagamento di competenze professionali avvalendosi del foro speciale

di cui all'art. 637, terzo comma, cod. proc. civ., il rapporto tra

quest'ultimo ed il foro speciale della residenza o del domicilio del

consumatore previsto dall’art. 33, comma 2, Iettera u), del d.lgs. 6

settembre 2005, n. 206 va risolto nel senso della prevalenza del foro

del consumatore, sia perché esso è esclusivo sia perché, trattandosi

di due previsioni "speciali", la norma successiva ha una portata

Limitatrice di quella precedente.>>: il principio non poteva che valere

per tutte le indicate ipotesi di possibile introduzione della domanda,

con la conseguenza, nel caso di cliente “consumatore", di fare aggio

sui vari criteri di competenza ad esse ricollegati e di renderli

praticabili solo se il foro del consumatore fosse stato coincidente con

quello di ciascuna delle stesse.

  1. 4. Tanto rilevato, può ora passarsi ad esaminare la prima

questione proposta dall’ordinanza di rimessione, cioé il se

l'introduzione dell’art. 14 del d.lgs. 150 del 2011 abbia comportato

l’esclusi0ne della praticabilità dei riti che concorrevano con quelli (rito

camerale introdotto direttamente e rito monitorio da evolversi in

camerale dopo l’opposizione) di cui alla vecchia disciplina degli artt.

28 e segg. della I. del 1942 .

Una risposta positiva sarebbe innanzitutto possibile soltanto se

l’eventuale eliminazione della praticabilita di alcuni dei riti, che all'atto

dell'entrata in vigore dell'art. 14 concorrevano con quello ex artt. 28

e segg. della l. n. 794 del 1942, risultasse non avere determinate

effetti sulla competenza 0 meglio sulle competenze relative a detta

controversia.

In tanto la riforma del 2011 non ha determinato alcun effetto

sulla possibilita che l’azione venga introdotta con le forme del

procedimento per decreto ingiuntivo ai sensi degli artt. 633 e segg.

cod. proc. civ., atteso che l’art. 28 della I. n. 794 del 1942, pur nel

testo sostituito dal d.lgs. n. 150 del 2011, la prevede e l’art. 14 la

disciplina. Ne deriva che l’operatività della competenza ai sensi

dell’art. 637 cod. proc. civ. (secondo tutte le ipotesi colà previste) é

rimasta immutata ed immutata é rimasta pure l’omologia di rito con

l’introduzione diretta con il (nuovo) procedimento sommario speciale,

poiché l'art. 14 dispone che a seguito dell’opposizIone al decreto il

giudizio si tratti con la forma speciale del procedimento sommario,

non diversamente da quanto accadeva secondo vigente la disciplina

della I. n. 794 del 1942.

Viceversa, ritengono le Sezioni Unite, non è sostenibile che sia

rimasta praticabile — come invece aveva supposto la parte qui

ricorrente — né la possibilità di esercitare l’azione di cui all’art. 28

citato con H rito sommario codicistico di cui agli artt. 702-bis e segg.

cod. proc. civ., né Ia possibilità di esercitarla con il rito ordinario di

cognizione piena.

Prima di spiegare queste due affermazioni, mette conto di rilevare

che esse non sono in contraddizione con il criterio di delega della c.d.

invarianza della competenza

E’ sufficiente osservare che:

  1. aa) escludere la possibilità di agire con il rito ordinario a

cognizione piena non determina la soppressione di alcun criterio di

competenza previgente, giacché Ia competenza in base alla quale

poteva agirsi in via ordinaria, secondo L’orientamento

giurisprudenziale prima riferito, era la stessa prevista (ai sensi del

primo comma dell’art. 637 cod. proc. civ.) per la possibilità di agire

con Ie forme del ricorso monitorio, destinate poi ad evolversi con il

rito camerale, sicché, negare la possibilità di utilizzare il rito della

cognizione piena determina soltanto la soppressione di una regola

inerente ad uno dei riti esperibili prima della riforma, ma non di una

regola di competenza, atteso che essa, sebbene tramite il rito

monitorio, permane immutata;

  1. bb) escludere la possibilità di agire con II rito di cui agli artt. 702-

bis e segg., una volta considerato che la competenza quanto ad esso

é individuata con un riferimento all’essere la controversia attribuita al

tribunale in composizione monocratica (art. 702-bis, primo comma,

cod. proc. civ.), non implica parimenti alcuna soppressione di una

regola di competenza perché le cause che si sarebbero potute

introdurre con quel rito restano comunque deducibili davanti al

tribunale in composizione monocratica ancora una volta con il rito

monitorio, sicché nessuna soppressione di competenza vi sarebbe,

ma solo quella di un rito prima praticabile.

  1. 5. Le due affermazioni di cui sopra non trovano un qualche

ostacolo nella lettura della riforma di cui al d.lgs. n. 150 del 2011 in

modo conforme alla delega, perché:

  1. a) l’art. 54, comma 1, della I. n. 69 del 2009 indicava come

oggetto della delega la <<riduzione e semplificazione dei

procedimenti civili di cognizione che rientrano nell’ambito della

giurisdizione ordinaria e che sono regolati dalla legislazione

speciale>>: é vero che sia la “riduzione", sia la “semplificazione”

erano riferite ai procedimenti regolati dalla legislazione speciale,

sicché potrebbe pensarsi che l’oggetto delle prima non potesse essere

il sopprimere l’applicabilità del processo di cognizione piena, quando

fosse stata prevista in concorso con quella del procedimento speciale,

ma non é discutibile che nell’esigenza di semplificazione potesse

rientrare non solo la regolamentazione del singolo procedimento

speciale, ma anche il renderlo eventualmente utilizzabile in via

esclusiva e ciò tanto più considerando che il comma 2 dell’art. 54

esigeva il <<coordinamento con le altre disposizioni vigenti>>;

  1. b) l’indicato valore dell’esigenza di semplificazione, coniugato con

quello del coordinamento, trova conferma ove poi si correli al criterio

di delega della invarianza della sola competenza, di cui alla lettera a)

del comma 4 e alla mancanza di espressa previsione di una regola di

invarianza del rito ordinario, eventualmente previsto nella legislazione

esistente in concorrenza con quello speciale, nonché con la previsione

del n. 2 della lettera b) del comma 4, che, per il caso di riconduzione

di un vecchio procedimento al procedimento di cui agli artt. 702—bis

cod. proc. civ., sanciva l’esclusione però della possibilità di

conversione nel rito ordinario previsione del tutto incompatibile con

la permanenza di concorrenza del rito ordinario, che avrebbe

ragionevolmente imposto invece la conservazione della regola della

conversione.

La delega, dunque, non impediva al legislatore delegato di

individuare ii procedimento ai sensi dell’art. 14 più volte citato come

esclusivo e non concorrente con quello ordinario e con quello

codicistico di cui agli artt. 702—bis e segg.

  1. 7. Raggiunta la conclusione che la delega non impediva affatto al

legislatore di individuare nel procedimento sommario l'unica forma di

tutela esperibile per la controversia di cui agli artt. 28 e segg. della I.

  1. n. 794 del 1942, si deve rilevare che effettivamente il tenore dell’art.

28 nel testo sostituito dal d.lgs. n. 150 del 2011 evidenzia che Ia

scelta é stata proprio in quel senso.

E’ vero che nell’art. 28 nuovo testo è scritto che l’Avvocato <<se

non intende seguire il procedimento di cui agli art. 633 e ss. del

codice di procedura civile, procede ai sensi dell’art. 14 del d.lgs. 1

settembre 2011 n. 150>> ed é vero l’uso del verbo “procede” al

posto di quello “deve”, che era presente nel vecchio art. 28 non

parrebbe segnare una significativa differenza. Senonché, una volta

ricordato che le ragioni storiche, che portarono all’affermazione,

contro la tesi che aveva preso piede nell'immediato dopoguerra, della

concorrenza elettiva del rito di cui agli artt. 28 e segg. della legge del

1942 con quello ordinario, erano figlie della diffidenza a concepire

un'applicazione del rito camerale necessaria ad una materia

certamente contenziosa, per l’assenza in esso di regole circa i poteri

del giudice e quelli delle parti (peraltro, ad avviso di Corte

Costituzionale n. 1 del 2002 doverosamente ridimensionabile

attraverso doverose prassi esegetiche improntate ad

un’interpretazione costituzionalmente orientata), si deve, tuttavia,

considerare 1a) in primo luogo che l’utilizzo nell’attuale art. 28 di

una forma verbale imperativa é ora avvenuto in un contesto di

evoluzione dell'0rdinamento tendente a semplificare le forme

processuali e con esclusione della osmosi fra quella speciale di cui al

procedimento sommario e quella ordinaria; 1b) in secondo luogo ed

in stretta correlazione, che, come ha sottolineato parte della dottrina,

il procedimento sommario, a differenza dell’antico procedimento

camerale di cui agli artt. 737 e segg. cod. proc. civ., presenta un

corredo di norme negli artt. 702-bis e segg. e nell'art. 3 e nell’art. 4

del d.lgs. n. 150 del 2011, che — per così dire - formalizzano le regole

del suo svolgimento.

Appare allora coerente e giustificata - pur nella contemplazione

che II “dovuto processo", sul piano costituzionale della garanzia del

diritto di azione e di difesa, di cui all’art. 24 della Costituzione, esige

tendenzialmente Ia garanzia del modello “ordinario” del processo di

cognizione, con le sue puntuali garanzie - la conclusione che il

modello del procedimento sommario, in quanto le sue regole sono

formalizzate (e, quindi, stemperano Ia sommarietà in modo da

assicurare uno svolgimento del procedimento secondo forme

predeterminate e specificate, come accade nel rito ordinario), possa,

senza alcun vulnus costituzionale essere il luogo di tutela non

elettivo, ma esclusivo della situazione giuridica azionabile ai sensi

dell’art. 28 della I. n. 794 del 1942 e dell’art. 14 del d.lgs. Tanto più

che il trattarsi di prestazioni giudiziali civili e, dunque, risultanti da

attività formale é ragione che evidenzia un agevole accertamento

della rnateria controversa.

Ne segue la conclusione che il “procede” dl cui all'art. 28,

coniugato con l’alternativa previsione del solo procedimento

monitorio, destinato, però, ad evolversi nell'opposizione secondo il

rito sommario, giustifica l’affermazione che la controversia di cui

all’art. 28 della I. n. 794 del 1942 deve necessariamente introdursi

con le due alternative forme da tale norma previste, restando

escluso, invece, che si possa introdurre con il rito ordinario e con

quello sommario codicistico.

  1. 8. Con riferimento all’ipotesi che la controversia venga introdotta

ai sensi degli artt. 633 e segg. cod. proc. civ., cioè con il ricorso per

decreto ingiuntivo, ci si deve interrogare sulle implicazioni della

previsione dell'art. 14 che l’opp0sizione proposta a norma dell'art.

645 cod. proc. civ. è regolata dal rito sommario di cognizione, ove

non diversamente disposto dallo stesso art. 14 e, occorre dire,

dall’art. 3 e dall’art. 4 del d.lgs. n. 150 del 2011.

Poiché la disposizione parla di opposizione “proposta a norma

dell'art. 645 cod. proc. civ." si potrebbe essere indotti a ritenere che ll

legislatore abbia inteso, nel caso in cui la controversia sia stata

introdotta con il rito monitorio, disporre che la forma dell'opposizi0ne

sia quella indicata dall'art. 645 cod. proc. civ. e, dunque, che

l’opposizione debba introdursi con citazione, con la conseguenza che

in sostanza diventerebbe inapplicabile l’art. 702-bis anche per le

modalità di costituzione del convenuto, che resterebbero quelle

dell’ordinario processo di cognizione. Tale esegesi sembra contraria

alla Logica dell'adozi0ne del rito sommario, che non giustifica

l’esclusione della fase di introduzione dell’opp0sizione dall’efficacia

regolatrice disposta dall'art. 14.

Ne discende che l’att0 introduttivo del giudizio di opposizione si

deve intendere regolato dall’art. 702—bis cod. proc. civ. e così pure

l’attività di costituzione dell'opposto. Peraltro, nel caso di introduzione

deIl’opposizione con Ia citazione, la congiunta applicazione del comma

1 del comma 4 deIl’art. 4 del d.lgs. n. 150 del 2011 renderà l’errore

privo di conseguenze.

Mette conto di precisare viceversa che, poiché sarebbe

contraddittorio pensare che il legislatore, pur lascando all’avv0cato la

possibilità di avvalersi del procedimento speciale per decreto

ingiuntivo e, quindi, di un procedimento che esprime una forma di

tutela differenziata e privilegiata, abbia, nel disporre la regolazione

del giudizio introdotto con l’opposizione in base alle disposizioni del

procedimento sommario, inteso escludere che i caratteri propri della

differenziazione di tutela vengano meno, si deve ritenere che, pur

nell’ottica dello svolgimento del giudizio di opposizione secondo le

forme del procedimento sommario quei caratteri, siccome espressi

nell’0rdinaria disciplina del giudizio di opposizione a decreto ai sensi

degli artt. 645 e segg. cd. proc. civ., non vengano meno per il sol

fatto che il giudizio di opposizione non si debba svolgere con ii rito

ordinario, ma con quello sommario. Poiché l’applicazione del rito

sommario lascia intatta la presenza del decreto opposto è giocoforza

allora ritenere, in particolare, che siano applicabili comunque le

norme degli artt. 648 e 649 cod. proc. civ., nonché quella dell’art.

653 e quella dell’art. 654 cod. proc. civ., fermo che la decisione deve

avvenire con l'ordinanza inappellabile di cui all’ultimo comma dell'art.

14 e che, ai sensi del penultimo comma dell’art. 702-ter essa è

sempre e comunque esecutiva.

  1. 9. Si deve ora esaminare la seconda questione che è stata posta

dall’ordinanza di rimessione.

Si tratta di stabilire quale contenuto si debba attribuire, nel nuovo

regime di cui all’art. 14 del d.lgs. n. 150 del 2011, alle controversie

che dall’art. 28 della I. n. 794 del 1942, come sostituito dal d.lgs. n.

150 del 2011, sono identificate con un testo sostanzialmente rimasto

immutato rispetto a quello originario. Il nuovo testo, infatti, ha

conservato non solo la stessa rubrica, che allude alla "Forma

dell‘istanza dl liquidazione degli onorari e dei diritti", ma anche lo

stesso tenore, che individua le controversie che (ne erano e) ne sono

oggetto in quelle introducibili dall'Avvocato <<per la liquidazione delle

spese, degli onorari e dei diritti nei confronti del proprio cliente [...]

dopo la decisione della causa 0 l‘estinzione della procura>>.

È noto che per un lungo periodo, anche registrando l'eco di

dibattiti dottrinali, la giurisprudenza della Corte aveva ritenuto che,

nonostante l’espressione “liquidazione", intesa alla lettera, sembrasse

alludere all'attivazione del procedimento in casi nel quali la lite fra

legale e cliente avesse riguardato solo la determinazione del quantum

dovuto, il procedimento speciale potesse esperirsi utilmente o restare

praticabile anche quando fosse sussistita già all’atto della

introduzione o fosse insorta controversia non solo sul quantum, ma

anche sull‘an debeatur, restando escluso solo dall’ins0rgenza di una

contestazione circa l'esistenza del rapporto di clientela, che di quella

procedura costituisce l’indefettibile presupposto (Cass., Sez. Un. n.

2672 del 1966 e n. 301 del 1967; Cass. Sez. Un. n. 79 del 1968,

secondo cui: <<Il procedimento speciale previsto dalla legge 13

giugno 1942, n. 794 è applicabile anche quando il credito viene

contestato nella sua sussistenza o vengono dedotte altre questioni di

diritto sostanziale 0 processuale, pregiudiziali all'esame del merito,

salvo che sia in contestazione l'esistenza del rapporto di mandato, nel

qual caso la controversia deve seguire l'iter di un ordinario giudizio di

cognizione>>).

Successivamente pero, salvo qualche eccezione (ad esempio

Cass. n. 7957 del 2003 ritenne praticabile il procedimento in presenza

di eccezione di prescrizione), la limitazione della impraticabilità

all'ipotesi di contestazione del rapporto di clientela, venne superata, a

partire sostanzialmente da Cass. n. 1920 e Cass. n. 12748 del 1993

Ric. 2016 11.03644 sez. SU - ud. 24-10-2017 -23-

(per la verità precedute qualche anno prima da una isolata prima

pronuncia: Cass. n. 5081 del 1986). La prima decisione afferma,

infatti, il seguente principio di diritto: <<Lo speciale procedimento,

previsto dalla legge 13 giugno 1942 n. 794 per la determinazione

della misura del compenso spettante al patrono di un giudizio civile

(nei confronti del cliente, 0 anche della parte avversa nel caso di

definizione transattiva del giudizio), non è applicabile quando si

controverta in ordine alla sussistenza del credito del legale, con la

conseguenza che, in questa ultima ipotesi, la trattazione e la

decisione della lite devono avvenire con il rito ordinario>>. La

seconda decisione enunciò che: <<La disposizione dell‘art. 30 della

legge 13 giugno 1942 n. 794, che, in tema di onorari, diritti e spese

di Avvocato e procuratore, prevede, nel caso di opposizione proposta

a norma dell’art. 645 cod. proc. civ. contro il decreto ingiuntivo

riguardante le suddette spettanze, il rito camerale e la decisione con

ordinanza non impugnabile (e, perciò, ricorribile in Cassazione, ai

sensi dell‘art. 111 Cost), deve considerarsi, per la non appellabilità

del provvedimento terminale e la eccezionale deroga del principio del

doppio grado che essa comporta, di diritto singolare e perciò

applicabile solo fino a quando Oggetto della controversia rimanga

limitata alle pretese che fanno capo al legale; pertanto, nei casi in cui

l'opponente abbia introdotto, ampliando il thema decidendum, una

eccezione di compensazione per credito non liquido 0 non esigibile o

una eccezione 0 domanda riconvenzionale sulla quale il giudice

investito della domanda del professionista ritenga di pronunciarsi, H

giudizio di opposizione non può procedere con il rito semplificato

previsto dalla predetta disposizione di diritto singolare e deve essere

definito con sentenza impugnabile con i normali mezzi e non con H

ricorso per cassazione di cui all’art. 111 Costituzione, che è previsto

solo contro le sentenze (0 i provvedimenti ad esse assimilabili, perché

decisori) non altrimenti impugnabili.>>).

Il nuovo principio che così si venne affermando (che riguardava

anche l'opposizione proposta contro il decreto ingiuntivo, ove ii legale

avesse scelto la via monitoria) può essere riassunto evocando la

massima di Cass. n. 7652 del 2004, secondo cui: <<In tema di

liquidazione degli onorari e dei diritti dovuti dal cliente per le attività

giudiziali svolte dal difensore (nonché per quelle stragiudiziali

strettamente correlate alle prime), Io speciale procedimento previsto

dagli artt. 29 e 30 legge 794 del 1942, che deve essere adottato

anche nel caso in cui il patrono si sia avvalso dell‘ingiunzione di cui

all‘art. 633 cod. proc. civ., trova applicazione soltanto se la

controversia abbia ad oggetto la determinazione della misura del

compenso e non si estenda ad altri oggetti di accertamento e

decisione, quali i presupposti stessi del diritto al compenso, i Imiti del

mandato, l'effettiva esecuzione della prestazione, Ia sussistenza di

cause estintive o limitative della pretesa rinvenienti da altri rapporti o

le pretese avanzate dal cliente nei confronti del professionista. Ne

consegue che la controversia deve essere trattata con ii rito speciale,

qualora il cliente, nell’eccepire l'estin2ione totale o parziale del credito

in considerazione dei pagamenti effettuati, non abbia esteso il thema

decidendum > >.

All’atto dell'intervento dell’art. 14 del d.lgs. n. 150 del 2011 può

dirsi che tale principio di diritto, che evidenziava un’incidenza

preclusiva allo svolgimento del procedimento ex art. 28

indifferentemente attribuita alla generalità degli atteggiamenti

difensivi del cliente sull’an, tanto che essi fossero consistiti in mere

difese (cioè nella contestazione in iure 0 in facto) dei fatti costitutivi

del rapporto di prestazione d'opera, tanto che si fossero concretati

nella introduzione di fatti integratori di eccezioni, tanto che si fossero

manifestati con la proposizione di vere e proprie domande

(riconvenzionali 0 di compensazione 0 di accertamento di rapporti

pregiudicanti).

Ric. 2016 n. 03644 sez. SU - ud. 24-10-2017 -25-

Tale orientamento, dunque, leggeva il riferimento alla

“liquidazione” come evocativo di una domanda diretta ad ottenere

solo la quantificazione della pretesa, sull’assunt0 che il cliente non

avesse contestato e non contestasse il rapporto di clientela

estrinsecatosi nelle prestazioni giudiziali e nemmeno le prestazioni

eseguite e la debenza di un corrispettivo, ma solo la sua

quantificazione (in base al sistema tariffario allora vigente).

Si trattava di un orientamento che manifestamente risentiva degli

echi del dibattito dottrinale, essenzialmente ispirato dalla diffidenza

verso il modello camerale e dunque teso a ridurne l’ambito di

applicazione a beneficio del rito di cognizione ordinario.

  1. 10. Non è questa la sede per ripercorrere criticamente i termini

della segnalata evoluzione giurisprudenziale e nemmeno del dibattito

dottrinale, atteso che la questione in esame concerne la nuova

disciplina del combinato disposto dell’art. 28 e dell’art. 14.

Tuttavia, mette conto di rilevare — anche perché le notazioni

svolte torneranno utili nell'affrontare quella questione - che

l'attribuzi0ne alla formulazione usata dal legislatore del 1942 con il

riferimento alla “liquidazione” del valore di restringere l’ambito di

applicazione ai casi in cui si fosse trattato solo di un problema di

determinazione del quantum del dovuto, una volta che quella

formulazione si fosse vagliata correttamente secondo i criteri di

identificazione della domanda, non si sarebbe dovuta reputare

significativa in quel senso.

Innanzitutto, a stretto rigore, l’impostazione avrebbe comportato,

venendo in rilievo la “domanda”, il restringere l’ambito dl esperibilità

del procedimento necessariamente all’ipotesi di prospettazione con il

ricorso introduttivo della tutela camerale (0 di quella monitoria), da

parte del legale, di una situazione di deduzione dell’inesistenza di una

contestazione sull'esistenza del rapporto di clientela e di fatti

impeditivi, estintivi 0 modificativi del rapporto stesso e dell’esistenza

di una contestazione solo sulla misura del compenso.

Si trattava, a ben vedere, di una impostazione che trovava

ostacolo in primo luogo nella previsione dell’alternativa possibilità di

far ricorso al procedimento monitorio infatti, la domanda monitoria,

identificabile in base alle norme degli artt. 633 e segg., non era certo,

come non è, una domanda che deve necessariamente proporsi con

l’allegazi0ne di un bisogno cii tutela giurisdizionale derivante da una

mera contestazione sulla misura del dovuto e, quindi, dall’esigenza di

ottenere un provvedimento giudiziale di quantificazione. Si tratta di

una domanda con cui, nel presupposto che un credito non sia stato

adempiuto, si chiede la condanna del preteso debitore al pagamento.

Sicché, avendo il Legislatore assoggettato alla trattazione con il rito

camerale anche l’ip0tesi alternativa di proposizione della domanda in

via monitoria, tanto avrebbe dovuto suggerire — non essendo

ragionevole che il contenuto delle domande fosse diverso - che anche

nel caso di ricorso diretto ai sensi dell’art. 28 il Iegale bene potesse

agire pur in presenza di contestazioni sull’an.

Si deve, poi, rilevare, come ha osservato una dottrina, che

L’ipotizzare che la domanda di cui all'art. 28 dovesse limitarsi a

postulare la “mera” liquidazione di un credito avrebbe presupposto,

perché essa fosse veramente di quei tenore, che il credito fosse stato

previamente accertato mediante un titolo convenzionale o giudiziale.

In mancanza di esso la domanda non avrebbe potuto mai essere una

domanda di liquidazione “mera”, ma avrebbe necessariamente

implicato la domanda di accertamento dell'esistenza del credito e ciò

tanto se il Iegale avesse dedotto una mancata contestazione dell’an

quanto se nulla avesse detto al riguardo.

In ogni caso, poi, la giustificazione della chiesta liquidazione

avrebbe supposto l’allegazione dei fatti costitutivi del rapporto di

clientela e del loro svolgimento come causa petendi e,

conseguentemente, essa, quale ragione fondante della domanda,

sarebbe stata oggetto comunque del chiesto accertamento giudiziale

in non diversa guisa che se si fosse prospettata una contestazione

dell’an debeatur.

L’orientament0 giurisprudenziale affermatosi a partire dagli anni

novanta nell’esegesi del riferimento dell’art. 28 all’agire per la

“liquidazione” non aveva, dunque, un serio fondamento

Non solo: appariva anche singolare, là dove attribuiva rilievo, per

escludere che il procedimento, una volta introdotto, potesse

comunque avere corso, all'atteggiamento del convenuto e ciò sia in

presenza di un'azione esercitata dal Iegale invocando solo la c,d.

mera liquidazione delle spettanze sull’assunto che non vi fossero

state contestazioni sull’an, sia in presenza di un'azione esercitata

senza quella evocazione, sia addirittura in presenza di un titolo

convenzionale stragiudiziale pregresso (dato che Ia sua validità ed

efficacia avrebbe potuto contestarsi dal cliente). In tal modo facendo

dipendere dall’atteggiament0 del convenuto la concreta praticabilità del procedimento, con Ia conseguenza di dover poi individuare la

sorte del giudizio 0 in una pronuncia di rito di inammissibilità del

procedimento 0 — in tempi in cui non erano presenti norme sulla

conversione del rito — ipotizzando la continuazione con il rito ordinario

(e, com’e noto, inferendone conseguenze, che non è qui ii caso di

ricordare anche sul regime di impugnazione dell’eventuale

provvedimento finale adottato nonostante che quell’atteggiamento

avesse determinato quella impraticabilità).

Pur nella consapevolezza che L’affermarsi dell’0rientamento qui

commentato fu ispirato dalle sollecitazioni critiche della dottrina e del

foro a rivedere il primigenio orientamento in ragione delle criticità

della deformalizzata disciplina del rito camerale, che trovava

applicazione al procedimento, non sembra, dunque, dubitabile che, in

linea teorica, il nuovo orientamento non avesse solide fondamenta.

10.1. A ben vedere si deve, peraltro, rilevare che anche

l’orientamento iniziale — quello che reputava che il procedimento non

potesse più aver corso con il modello camerale solo qualora il cliente

avesse contestato in radice l’esistenza del rapporto di clientela - si

prestava a critica, tanto quando tale contestazione fosse rimasta sul

piano dell'eccezione e, dunque, l’oggetto del giudizio non fosse stato

allargato, rimanendo incentrato sulla domanda originaria, quanto che

si fosse concretata in una domanda, nella specie riconvenzionale di

accertamento negativo dell’inesistenza del rapporto di clientela.

Invero, nel primo caso, attribuiva, ad un atteggiamento del

convenuto non incidente sull’oggetto della domanda, ma introduttivo

di una mera difesa o di un fatto impeditivo (diretti ad evidenziare

l'inesistenza del rapporto di clientela) e, quindi, incidente solo sui fatti

da giudicare per provvedere sulla domanda originaria e sull'originarlo

oggetto del giudizio, l’efficacia di precludere che il procedimento

potesse avere corso: tanto si poneva del tutto in contrasto con il fatto

che, se il legislatore aveva ammesso che la domanda fosse esperita

con il rito camerale, non risultava ragionevole attribuire alla difesa del

convenuto rispetto a quella domanda un rilievo impeditivo alla

trattazione del procedimento nella forma indicata dallo stesso

legislatore. Nel secondo caso, implicando la domanda del legale

necessariamente la richiesta di accertamento positivo del rapporto di

clientela, quella di accertamento negativo parimenti in alcun modo

allargava l’oggetto della domanda, cioé della res iudicanda,

trattandosi del contraltare di quella del difensore e nulla ad essa

aggiungendo, anche qui concretandosi solo nell’introduzione di mere

difese e fatti impeditivi rispetto alla domanda di accertamento

positivo.

  1. 11. A diverse considerazioni, invece, tanto nell’ottica

dell’orientamento originario, quanto in quella dell’orientamento più

recente, si sarebbe invece prestata l'incidenza, sulla possibilità che il

procedimento avesse corso con il rito camerale, di una difesa del

cliente concretatasi in una domanda riconvenzionale o di

compensazione o di accertamento di un rapporto pregiudicante: in tal

caso l’oggetto del giudizio risultava infatti allargato a tale domanda

rispetto a quello originario e si poneva il problema della sussistenza

su di essa di un altro rito, quello ordinario (oppure, eventualmente di

altro rito a cognizione piena), valendo la previsione del rito camerale

speciale solo per la domanda contemplata nell’art. 28.

11.1. Prima dell'entrata in vigore dell’art. 40, secondo, terzo e

quarto comma, cod. proc. civ., senza che sia necessario qui

diffondersi, si poteva ipotizzare che, se la domanda del convenuto

non avesse posto un problema di modificazioni della competenza per

ragioni di connessione, Ie strade fossero due: 0 quella della

separazione, con la trattazione di ogni causa secondo il rito suo

proprio, o, forzando il significato dell'art. 274 cod. proc. civ. ed

attribuendo valore alla prevalenza naturale del rito ordinario su quello

camerale, il procedere alla trattazione con il primo di entrambe le

cause. Questa soluzione si faceva preferire, perché l'altra comportava

il rischio di una sospensione nel caso in cui fra Ia causa ex art. 28 e

quella introdotta dal cliente si configurasse una pregiudizialità di

quest’ultima, se del caso anche solo per c.d. nesso di incompatibilità.

In ogni ipotesi di domanda del convenuto estranea alla

competenza del giudice (ufficio) adito ai sensi dell’art. 28 sarebbero

state operanti le regole della c.d. modificazione della competenza per

ragioni di connessione, di cui agli artt. 31 e seg. e particolarmente

quelle degli artt. 34, 35 e 36 cod. proc. civ.

11.2. Una volta introdotti i commi terzo, quarto e quinto dell’art.

40, invece, per l'ipotesi che la causa introdotta dal convenuto fosse

stata di competenza del giudice adito, questi avrebbe dovuto

applicare tali norme ed adottare sempre il rito di quella causa se

ordinario (terzo comma cod. proc. civ.), mentre, nell’ipotesi che fosse

stato applicabile alla domanda il rito del lavoro, esso sarebbe prevalso

perché, essendo la specialità del rito degli artt. 28 e segg. della legge

del 1942 cod. civ., una specialità non relativa ad un rito a cognizione

piena e prevalendo II rito del lavoro su quello ordinario era

ragionevole che la prevalenza fosse giustificata anche rispetto al rito

camerale.

11.3. Quando la domanda introdotta dal convenuto fosse stata

estranea alla competenza del giudice adito ai sensi del procedimento

speciale restava ferma l’operatività, con i loro limiti, delle norme sulla

modificazione della competenza per ragioni di connessione.

Nel caso di adizione del giudice di pace con il procedimento

speciale (0 con quello monitorio) si sarebbe dovuto considerare poi

operante l’ultimo comma dell'art. 40.

  1. 12. Ferme tali considerazioni ormai retrospettive (ma che si

riveleranno utili per l'attualità), si tratta ora di valutare, rispondendo

alla sollecitazione dell’ordinanza di rimessione, se L’orientamento

interpretativo sopra riferito e vigente all’atto dell’intervento del d.Igs.

  1. n. 150 del 2011 — a prescindere dalla sua discutibilità — possa essere

mantenuto con riferimento alla nuova disciplina.

La questione è stata risolta variamente in dottrina e lo stato della

giurisprudenza di questa Corte, come prospettato dall'ordinanza di

rimessione, parimenti non evidenzia risposte univoche.

12.1. In via preliminare è necessario rilevare che, supponendo

che il legislatore delegante e quello delegato abbiano avuto

consapevolezza dell’esistenza del detto orientamento e l'abbiano

considerato come diritto vivente, in base al tenore della delega ed alla

previsione in essa (come già evidenziato in precedenza) del criterio

della invarianza della competenza e di quello della semplificazione, è

da escludere che, con riferimento al nuovo procedimento di cui all’art.

28 - rinodeilato ad instar del procedimento di cognizione sommario e,

peraltro, secondo un modello speciale — l’approdo di

quell’orientamento dovesse necessariamente essere rispettato.

Si deve, al contrario, ritenere che, se il legislatore delegato

avesse scelto di superare detto orientamento, per un verso avrebbe

rispettato, specie nel quadro di una riforma generale tendente a

ridurre i riti praticabili, l’esigenza di semplificazione, e, per altro verso

non avrebbe adottato una scelta in qualche modo incidente sulla

competenza.

Infatti, nella logica dell’orientamento ante riforma più recente, la

competenza sulla domanda del legale in presenza di una situazione

stragiudiziale di contestazione della pretesa e, dunque, non

postulante solo l’accertamento della misura del compenso,

sostanzialmente spettava agli stessi giudici che in quella logica

potevano essere aditi con il rito ordinario quando la domanda fosse

contestata nell’an debeatur (e cioé con anche per Ia possibilità di adire

la Corte di appello, ai sensi del secondo comma dell’art. 637 cod.

proc. civ.).

Ne segue allora che una scelta del legislatore della delega di

tornare per così dire all’orientamento più: antico e addirittura di

prevedere il rito speciale sommario (0 fin dall’intr0duzione del

procedimento, 0, nel caso di attivazione del procedimento per

ingiunzione, con riferimento all’0pposizi0ne) pur nel caso in cui vi

fosse stata la stessa contestazione del rapporto di clientela, non

avrebbe contraddetto in alcun modo i criteri di delega.

12.2. Ritengono le Sezioni Unite che ia scelta del legislatore,

giusta il tenore dell’art. 14 del d.gs. n. 150 del 2011, si debba leggere

proprio in questo senso.

Ciò traspare da un dato che è presente nell’art. 14 del d.lgs. n.

150 del 2011. In esso si dispone che la regolamentazione secondo il

rito sommario di cognizione con le particolarità previste dallo stesso

articolo (e, v’è da aggiungere, quelle emergenti dagli artt. 3 e 4 del

Ric. 2016 n. 03644 sez. SU - ud. 24-10-2017 -32-

d.lgs.) concerne <<le controversie previste dall’art. 28 della legge 13

giugno 1942, e l'opposizione proposta a norma dell’art. 645 del

codice di procedura civile contro il decreto ingiuntivo riguardante

onorari, diritti 0 spese spettanti ad avvocati per prestazioni

giudiziali>>.

Ora, è vero che la rubrica ha il seguente tenore: <<Delle

controversie in materia di liquidazione degli onorari e dei diritti di

Avvocato>>. Ma, il lettore della norma deve considerare che il

Iegislatore delegato avrebbe potuto limitarsi, in coerenza con tale

rubrica, alludente allo stesso concetto di “liquidazione" presente

nell’art. 28 (e tanto nell’immutata rubrica, quanto nelia disposizione),

a riferirsi alle <<c0ntroversie indicate nell’art. 28>>, poiché una

simile formulazione non avrebbe potuto che comprendere sia la

controversia introdotta direttamente ai sensi dell’art. 14 stesso ed

indicata dall’art. 28 con l’espressione <<procede ai sensi deIl’art. 14

del d.Igs. n. 150 del 2011>>, sia la controversia introdotta con il

ricorso monitorio ed indicata con l’espressione <<se non intende

seguire il procedimento di cui agli artt. 633 e s.s. del codice di

procedura civile>>. E tanto perché la rubrica dell’art. 28, nel, riferirsi

alla “forma dell’istanza”, attribuisce ad essa l'efficacIa di accomunarle

e di disciplinare direttamente appunto la forma di introduzione, che

nel primo caso é quella diretta di cui all’art. 14 e nel secondo é invece

quella degli artt. 633 e segg. del cod. proc. civ. (come si é in

precedenza detto).

Un generico richiamo alle controversie indicate nell’art. 28,

seguito dal precetto circa la regolazione secondo H rito sommario

sarebbe, dunque, bastato a palesare all’interprete che entrambe le

controversie indicate neIl’art. 28 come introducibili nelle due distinte

forme, dovevano intendersi regolate dal rito sommario. Del resto, per

quelle di opposizione al decreto, tanto sarebbe stato sufficiente ad

implicare che l’efficacia dispositiva della regolazione con il rito

sommario dovesse riguardare appunto il relativo procedimento per

quanto concerneva l’0pposizione, giacché la forma dell’introduzione

della controversie e ciò che ad esso era correlato risultano già

disciplinate indirettamente dall’art. 28.

II legislatore, invece, ha fatto riferimento alle controversie di cui

all’art. 28 e alla <<opposizione proposta a norma dell’artic0lo 645 del

codice di procedura civile contro il decreto ingiuntivo riguardante

onorari, diritti 0 spese spettanti ad avvocati per prestazioni

giudiziali>>.

Ebbene deve ritenersi significativo, secondo un’esegesi letterale,

che si sia usata tale formulazione, omissiva di qualsiasi riferimento

alla “liquidazione", anziché una formulazione quale avrebbe potuto

essere quella <<decreto ingiuntivo riguardante la liquidazione di

onorari, diritti o spese spettanti ad avvocati per prestazioni

giudiziali>>, con Ia quale II legislatore avrebbe chiaramente

manifestato l’attribuzione di rilevanza al concetto di “liquidazione” e,

quindi, avrebbe potuto avallarne l’esegesi nel senso dell’orientamento

giurisprudenziale affermatosi quo ante, e tanto più avendo conservato

il riferimento alla liquidazione nell’art. 28, una formulazione omissiva

del detto riferimento.

Tale modus procedendi del legislatore, implicando che il “seguire"

il procedimento di cui agli artt. 633 e segg. del cod. proc. civ., di cui

all’art. 28, sottenda la proposizione di una normale domanda

monitoria evidenziante una pretesa creditoria sic et simpliciter e non

di una domanda monitoria soltanto “liquidatoria”, costituisce la

cartina di tornasole di una oggettiva voluntas legis sfavorevole

all’approccio ermeneutico valorizzante il concetto di “liquidazione”. Se

il dato letterale si coniuga con le criticità che presentava

quell’approcci0 e che si sono sopra indicate, Ia sua valorizzazione è

doverosa per l’interprete e le Sezioni Unite intendono avallarla.

12.3. Nessuna delle controindicazioni che si sono volute

evidenziare in senso contrario risulta fondata.

Tale non è quella emergente dalla relazione illustrativa al d.lgs. n.

150 del 2011, la quale, com'è noto, a proposito dell’art. 14 enunci

testualmente: <<Al riguardo, non è stato ritenuto necessario

specificare che l'0ggetto delle controversie in esame è limitato alla

determinazione degli onorari forensi, senza che possa essere esteso,

in queste forme, anche ai presupposti del diritto al compenso, 0 ai

limiti del mandato, o alla sussistenza di cause estintive 0 limitative.

Tale conclusione, ormai costantemente ribadita dalla giurisprudenza

di legittimità, non viene in alcun modo incisa dalla presente disciplina,

in assenza di modifiche espresse alla norma che individua i

presupposti dell’azione, contenuta nella legge 13 giugno 1942 n.

794.>>. In proposito si osserva che l’unico dato certo su cui si basa

tale enunciazione è quello relativo alI'0rientarnent0 giurisprudenziale,

mentre l’affermazione che Ia nuova disciplina non avrebbe inciso su di

esso <<in assenza di modifiche espresse alla norma che individua i

presupposti deIl'azi0ne>> trova smentita in quanto appena enunciato

e cioé anche senza che debba ricordarsi che <<Ai Lavori preparatori

può riconoscersi valore unicamente sussidiario nell’interpretazione di

una Legge, trovando un limite nel fatto che la volontà da essi

emergente non può sovrapporsi alla volontà obiettiva della Legge

quale risulta dal dato letterale e dalla intenzione del legislatore intesa

come volontà oggettiva della norma (voluntas legis), da tenersi

distinta dalla volontà dei singoli partecipanti al processo formativo di

essa>> (Cass. n, 3550 del 1988). D'altro canto, in sede di esame del

decreto legislative da parte dell’apposita commissione parlamentare

era parso dubbio che la formulazione proposta fosse idonea a

conservare L’orientamento giurisprudenziale limitativo ed era stato

formulata nel parere reso dalla Commissione la proposta di un

emendamento nell’art. 12 del testo allora in discussione (che recava

la disciplina poi espressa dall’art. 14), il quale proponeva di dire

espressamente che <<quando la controversia [....] abbia ad oggetto

non solo Ia liquidazione degli onorari e dei diritti dell’Avvocato, si

applicano le disposizioni di cui al Libro II del codice di procedura

civile>. Ma la proposta di emendamento contenuta nel parere non

trovo accoglimento nel testo del decreto legislativo. Ed è evidente che

tale mancato accoglimento, al contrario di quanto si è opinato, poiché

evidenzia che in sede parlamentare si era dubitato che il disposto

normativo fosse idoneo a consentire la conservazione

dell’orientament0 affermatosi per la vecchia disciplina, è elemento

rafforzativo dell’esegesi qui sostenuta.

Si aggiunga che privo di rilievo è che nel procedimento ex art. 14

sia prevista la difesa personale, che sarebbe poco compatibile con la

complessità di problemi che eccedano Ia liquidazione. In disparte che

anche la liquidazione può essere “complessa", si rileva che Ia difesa

personale è solo una facoltà e non può assumere rilievo ai fini della

delimitazione dell'oggett0 del procedimento.

Deve, dunque, affermarsi che la disciplina dell’art. 28 della legge

del 1942 e dell’art. 14 va intesa nel senso che Ia domanda inerente

alla liquidazione cui allude la prima norma e che dice introducibile ai

sensi dell’art. 14 non ha un oggetto limitato alla richiesta di

liquidazione del dovuto nel presupposto dell’allegazione che la

conclusione e lo svolgimento del rapporto siano incontestati e il

bisogno di tutela giurisdizionale affermato con essa debba essere solo

quello della determinazione del quantum dovuto. Al contrario, detto

oggetto si deve identificare nella proposizione di una domanda di

pagamento del corrispettivo della prestazione giudiziale senza quella

limitazione e dunque anche in presenza di contestazione del rapporto

e dell'an debeatur. Sicché, se l’azi0ne ai sensi dell’art. 14 0 con il

ricorso monitorio poi opposto non lo sia stata con l’allegazione che il

petitum è solo la liquidazione delle spettanze, essendo incontroverso

l’an debeatur, non si deve far luogo all’applicazione — che dovrebbe

avvenire, peraltro, indipendentemente dall’atteggiament0 del cliente

e, quindi, nel primo caso pure ove egli rimanga contumace — del

primo comma dell'art. 4 del d.lgs. n. 150 del 2011 e, dunque, alla

constatazione che il rito di cui agi artt. 28 e 14 è stato azionato

erroneamente, con conseguente necessità di passare alla trattazione

con il rito ordinario.

Questa conclusione, oltre ad essere supportata dalle sopra

segnalate criticità che presentava il diverso orientamento

giurisprudenziale esistente sulla normativa pregressa, è anche

coerente con la finalità del d.lgs. n. 150 del 2011, posto che la scelta

di disporre l’applicabilità del rito sommario alla pretesa relativa al

pagamento del dovuto per le prestazioni giudiziali civili senza

limitazioni è conforme ali ‘esigenza di semplificazione, dovendosi

considerare che il rapporto di prestazione d’opera, essendo relativo a

prestazioni giudiziali e, dunque, di cui, per così dire, vi è traccia ed

evidenza, si presta naturalmente ad accertamenti rispetto ai quali il

rito sommario — formalizzato al contrario di quello camerale - risulta

adeguato.

  1. 13. Raggiunta questa conclusione, nella disciplina vigente,

conforme a quanto si doveva ritenere già nella disciplina precedente

ed in questo caso senza le preoccupazioni che dava il deformalizzato

rito camerale, a fronte del procedimento sommario, che invece é

formalizzato, l’atteggiamento difensivo del cliente (quando l’Avvocato

avesse proposto la domanda o il ricorso monitorio adducendo

l’esigenza di una sola liquidazione), tanto che si concreti nella

contestazione del rapporto di clientela, tanto nel caso di contestazioni

relative comunque all’an debeatur e non al quantum, purché non si

concreti nell’ampliamento dell’oggetto del giudizio con l’introduzione

di una domanda, non determina alcuna incidenza sulla possibilità che

il processo si svolga e si chiuda con il rito sommario e, dunque, non

dà luogo ad una sorta di sopravvenuta inammissibilità del

procedimento stesso, peraltro esclusa dal disposto del comma 1

dell'art. 4 del d.lgs. n. 150 del 2011 e nemmeno all’esigenza di

disporre il cambiamento del rito ed il passaggio alla cognizione

ordinaria in applicazione di tale disposto.

II procedimento sommario può senz'altro continuare con l’esame

delle difese del cliente.

13.1. Qualora la difesa del convenuto si sia concretata invece

nell’allargamento deIl’oggett0 del giudizio con una domanda ed essa

non ponga problemi di competenza, nel senso che non esorbiti dalla

competenza del giudice adito ai sensi dell’art. 14, viene in giuoco il

quarto comma dell'art. 702-ter cod. proc. civ., il quale è applicabile al

procedimento di cui allo stesso art. 14.

Ne segue che il giudice del procedimento deve vagliare se la

domanda del convenuto possa essere trattata con il rito sommario,

cioè non richieda un'attività istruttoria non sommaria. In questo caso

procederà alla trattazione congiunta con il rito sommario. In caso

contrario, Ia disciplina del detto quarto comma impedisce di

prospettare l’applicazione di quella dell’art. 40, terzo e quarto comma

cod. proc. civ. (che sopra si è ipotizzata nel vecchio regime) e la

strada e obbligata. La trattazione della domanda introdotta dal cliente

dovrà avvenire, previa separazione, con il rito ordinario a cognizione

piena (ed eventualmente con un rito speciale a cognizione piena: si

pensi alla deduzione del cliente dello svolgimento delle prestazioni

nell’ambito di un rapporto di coordinazione continuativa e continuata

0 di lavoro, ammesso che ne sia possibile la configurazione in

relazione al regime della professione). E, qualora Ia decisione sulla

domanda separata sia pregiudiziale rispetto a quella della domanda di

pagamento degli onorari, verrà in considerazione — ancorché i

processi restino davanti allo stesso giudice — l’art. 295 cod. proc. civ.

Ove la domanda introdotta dal cliente convenuto non appartenga

alla competenza del giudice adito ai sensi dell’art. 14 cod. proc. civ.,

verranno invece in rilievo — in aggiunta al problema del rito ~ le

norme sulle modificazioni della competenza per ragioni di

connessione, che eventualmente potranno comportare I0

spostamento della competenza sulla domanda ai sensi dell'art. 14

(salvo ii caso che il giudizio sia partito con il procedimento monitorio,

in cui, secondo interpretazione ancora consolidata non è possibile Io

spostamento della competenza sul giudizio di opposizione e occorrerà

separare le cause).

Tali evenienze, consentendo se del caso la possibilità del

simultaneus processus, segnano una certa distonia rispetto alla

mancanza di quella possibilità nel caso in cui la domanda del cliente

non presenti problemi di competenza.

Nel caso in cui sia stata adita la corte d'appello, va considerato

che il comma 3 dell’art. 3 del d.lgs. n. 150 del 2011 prevede che resti

ferma l’inapplicabilità del secondo (e del terzo) comma dell’art. 702-

ter e dispone che per H resto si applichi (oltre all’art. 702-b/5) quello

stesso articolo. Se venga proposta una riconvenzionale occorrerà

considerare che su di essa non sembra possibile immaginare che

possa trovare applicazione il quarto comma dell’art. 702-ter che

suppone evidentemente Ia competenza del giudice adito con il

procedimento sommario su di essa. La corte d’appell0, essendo di

norma giudice competente in secondo grado, non può in alcun modo

considerarsi competente sulla riconvenzionale (introdotta come

domanda di primo grado) e, dunque, non si può ipotizzare che,

qualora la riconvenzionale si presti ad un'istruzi0ne sommaria, quella

corte possa trattarla. Non resta che ipotizzare sempre Ia necessaria

separazione della riconvenzionale e la rimessione al giudice

competente in primo grado, con le conseguenti decisioni ex art. 295

cod. proc. civ. sulla sorte del giudizio ex art. 14 ove la

riconvenzionale abbia efficacia pregiudicante. Se la domanda abbia ad

oggetto la deduzione di una richiesta di compensazione sarà possibile

ipotizzare ai sensi dell’art. 35 cod. proc. civ. l’eventuale condanna con

riserva.

  1. 14. Mette conto di precisare che 1’azione di accertamento negativo

(in tutto od in parte) dell’esistenza del credito per prestazioni

professionali giudiziali di cui all’art. 28 della I. n. 794 del 1942 che

venga autonomamente esercitata dal cliente non risulta riconducibile

all’émbit0 dell’art. 14 perché l'art. 28 della legge del 1942 indica

come soggetto attore solo l’Avvocato. Essa è, dunque, soggetta alle

ordinarie regole di competenza e, sotto il profilo del rito praticabile, 0

al rito di cognizione ordinaria o a quello codicistico di cui all’art. 702-

bis e segg. cod. proc. civ. (nel caso di competenza del tribunale

monocratico).

  1. 15. La prima questione posta dall’ordinanza di rimessione deve,

dunque, risolversi con l’affermazione del seguente principio di diritto:

<<A seguito dell’introduzione dell’art. 14 del d.lgs. n. 150 del 2011,

la controversia di cui all’art. 28 della I. n. 794 del 1942, come

sostituito dal citato d.lgs., può essere introdotta: a) o con un ricorso

ai sensi deIl’art. 702—bis, cod. proc. civ., che dà luogo ad un

procedimento sommario “speciale", disciplinato dal combinato

disposto dell’art. 14 e degli artt. 3 e 4 del citato d.lgs. e dunque dalle

norme degli artt. 702-bis e seg. cod. proc. civ., salve Ie deroghe

previste dalle dette disposizioni del d.lgs.; b) 0 con il procedimento

per decreto ingiuntivo ai sensi degli artt. 633 e segg. cod. proc. civ.,

l’opposizi0ne avverso il quale si propone con ricorso ai sensi dell’art.

702-bis e segg. cod. proc. civ. ed é disciplinata come sub a), ferma

restando L’applicazione delle norme speciali che dopo l’opposizione

esprimono la permanenza della tutela privilegiata del creditore e

segnatamente degli artt. 648, 649 e 653 cod. proc. civ. (quest’ultimo

da applicarsi in combinato disposto con l’ultimo comma dell’art. 14 e

con il penultimo comma dell’art. 702-ter cod. proc. civ.). Resta,

invece, esclusa la possibilità di introdurre l’azione sia con il rito di

cognizione ordinaria e sia con quello del procedimento sommario

ordinario codicistico, di cui agli artt. 702—bis e segg. cod. proc.

civ.>>.

La seconda questione posta dall’ordinanza di rimessione va risolta

con l’affermazione del seguente principio di diritto: <<La controversia

di cui all’art. 28 della I. n. 794 del 1942, tanto se introdotta con

ricorso ai sensi dell’art. 702-bis cod. proc. civ., quanto se introdotta

con ricorso per decreto ingiuntivo, ha ad oggetto la domanda di

condanna del cliente al pagamento delle spettanze giudiziali

dell’Avvocato tanto se prima della lite vi sia una contestazione sull’an

debeatur quanto se non vi sia e, una volta introdotta, resta soggetta

(nel secondo caso a seguito dell’opposizione) al rito indicato dall’art.

14 del d.lgs. n. 150 del 2011 anche quando il cliente dell'Avvocato

non si limiti a sollevare contestazioni sulla quantificazione del credito

alla stregua della tariffa, ma sollevi contestazioni in ordine

all'esistenza del rapporto, alle prestazioni eseguite ed in genere

riguardo all’an. Soltanto qualora il convenuto svolga una difesa che si

articoli con Ia proposizione di una domanda (riconvenzionale, di

compensazione, di accertamento con efficacia di giudicato di un

rapporto pregiudicante), l'introduzione di una domanda ulteriore

rispetto a quella originaria e la sua esorbitanza dal rito di cui all'art.

14 comporta - sempre che non si ponga anche un problema di

spostamento della competenza per ragioni di connessione (da

risolversi ai sensi delle disposizioni degli artt. 34, 35 e 36 cod. proc.

civ.) e, se è stata adita la corte di appello, il problema della

soggezione della domanda del cliente alla competenza di un giudice di

primo grado, che ne impone la rimessione ad esso - che, ai sensi

dell’art. 702—ter, quarto comma, cod. proc. civ., si debba dar corso

alla trattazione di detta domanda con il rito sommario

congiuntamente a quella ex art. 14, qualora anche la domanda

introdotta dal cliente si presti ad un'istruzione sommaria, mentre, in

caso contrario, si impone di separarne la trattazione e di procedervi

con il rito per essa di regola previsto (non potendo trovare

applicazione, per I ‘esistenza della norma speciale, la possibilità di

unitaria trattazione con il rito ordinario sull’intero cumulo di cause ai

sensi dell’art. 40, terzo comma, cod. proc. civ.).>>.

  1. 16. vanno a questo punto applicate le regole che si sono

enunciate con riferimento alla controversia oggetto di regolamento ed

alla decisione su di esso.

Si osserva che la domanda del ricorrente era stata introdotta

espressamente con il rito dell'art. 702-bis cod. proc. civ. codicistico,

che, invece, non era praticabile. Peraltro, l’azione cumulava pretese

inerenti prestazioni giudiziali svolte davanti a tre uffici diversi, cioè il

Giudice di Pace di Roma, il Tribunale di Roma e la Corte d’Appello di

Roma. A norma del combinato disposto dell’art. 28 della legge del

1942 e dell’art. 14 del d.lgs. n. 150 del 2011 i1 ricorrente avrebbe

potuto proporre tre distinte domande davanti a detti uffici ai sensi del

comma 2 dell’art. 14 e dunque non far luogo al cumulo. Sempre a

norma del detto combinato disposto e dell'art. 637 cod. proc. civ.

avrebbe potuto: a) proporre le domande in cumulo con il rito

monitorio ai sensi deII’art. 637, primo comma, cod. civ. e, dunque,

davanti al tribunale competente secondo le regole della cognizione

ordinaria; b) proporle separatamente davanti all'ufficio di

espletamento delle prestazioni ai sensi del secondo comma della

stessa norma; c) proporle cumulativamente davanti al tribunale del

luogo indicato dal terzo comma dell’art. 637 cod. proc. civ.

La possibilità di praticare detti fori, come quello che il ricorrente

ha adito, doveva, pero, misurarsi, sotto il profilo della competenza

per territorio, con la posizione della cliente, che era qualificabile come

consumatrice alla stregua della nozione indicata dall'art. 3, comma 1,

Iett. a) del d.lgs. n. 206 del 2005, con conseguente operatività in via

prevalente del foro di cui all’art. 33, comma 2, lett. u) del d.lgs. n.

206 del 2005, sicché ognuno dei fori di cui si è detto, in tanto

avrebbe potuto essere azionato, in quanto sui piano territoriale fosse

stato coincidente con quello della residenza della L., giusta

quanto osservato sopra sub 3.5.

Si deve, infatti, ritenere che la giurisprudenza cola richiamata,

non avendo la disciplina introdotta dal d.lgs. n. 150 del 2011

carattere innovativo sulla competenza, come si è in precedenza

rilevato, ha conservato piena validità una volta sopravvenuta detta

disciplina.

L'in0sservanza del foro della consumatrice sarebbe stata rilevabile

d’ufficio se vi fosse stata, cioè se il foro di Civitavecchia non fosse

stato quello di residenza della L..

II Tribunale, di fronte alla proposizione della domanda con il non

ammissibile rito sommario codicistico avrebbe dovuto provvedere ai

sensi del comma 1 deIl’art. 4 del d.lgs. n. 150 del 2011 alla

trattazione con il rito sommario speciale di cui all’art. 14: tale

possibilità si configura, perché, come si è veduto, tale rito è quello cui

la controversia ex artt. 28 e 14 è soggetto.

II tribunale avrebbe potuto interrogarsi sull’esistenza della sua

competenza e rilevare che essa non si configurava alla stregua

dell'art. 14, secondo comma, non essendo state le prestazioni

giudiziali svolte presso di sé, ma il criterio di competenza di cui a tale

norma non è dichiarato inderogabile espressamente dal legislatore e

non si può nemmeno considerarlo tale, in quanto legato alla funzione

del giudice, per essere le prestazioni oggetto della domanda. Occorre,

infatti, considerare che il cumulo di domande proposte dal qui

ricorrente sarebbe stato eventualmente introducibile presso il

Tribunale di Civitavecchia anche con il rito monitorio in presenza di un

criterio di radicazione ai sensi del primo 0 del terzo comma dell’art.

637 cod. proc. civ. II fatto che ii qui ricorrente non avesse utilizzato la

forma monitoria e, dunque, non avesse utilizzato uno dei due riti

introduttivi possibili, non incideva sulla possibilità che il detto

tribunale potesse essere competente, atteso che, se ii legale rinuncia

ad avvalersi del procedimento monitorio ed introduce la controversia

ex art. 28 direttamente con il rito sommario, sebbene non davanti

all’ufficio presso il quale le prestazioni sono state espletate, non si

può ritenere che il giudice adito non sia competente, qualora la sua

competenza fosse sussistita se fosse stato adito con il rito monitorio.

Tanto si giustifica, perché il criterio di competenza di cui all’art.

14, comma 2, concerne soltanto l’ipotesi in cui si utilizzi Ia forma di

introduzione con il procedimento sommario e si adisca l’uffici0 presso

ii quale sono state svolte le prestazioni. Invero, poiché l’art. 28

prevede l’azionabilità della domanda in via alternativa con il rito

monitorio e il comma 1 dell’art. 14 dice che é l'opposizione al decreto

ingiuntivo ad essere regolata dalla norma per quanto non

diversamente risposto, non si può dubitare, come, del resto si è in

precedenza dato per scontato, che Ia competenza per l’introduzione

con ii ricorso monitorio sia disciplinata dall’art. 637 cod. proc. Si deve

escludere, in sostanza, che Ia forma monitoria di introduzione della

domanda sia divenuta azionabile con il rito monitorio in subiecta

materia solo davanti al giudice preso il quale le prestazioni sono state

espletate.

Poiché la regola di competenza, una volta proposta l'opposizione

non può mutare e l’esercizio dell’azione con ii rito monitorio è, d’altro

canto, una facoltà dell’avvocato alternativa a quella di introduzione

della domanda ex art. 14, se l’Avvocato non chiede il decreto

ingiuntivo ed agisce con il ricorso ex art. 702-bis direttamente

utilizzando uno dei criteri di competenza di cui al primo ed al terzo

comma dell’art. 137 (non quello di cui al secondo comma, che

coincide con quello di cui al comma 2 dell’art. 14), l’azione resta

comunque regolata dal rito sommario speciale di cui all’art. 14, salvo

appunto che per il profilo di competenza.

II Tribunale di Civitavecchia avrebbe allora potuto bene essere

adito qualora fosse stato configurabile uno dei criteri di competenza

di cui all’art. 637, primo e terzo comma, cod. proc. civ.

Nella specie, tuttavia, non occorre verificare se esso sia

competente alla loro stregua, non essendolo quale giudice dello

svolgimento delle prestazioni.

E’ sufficiente rilevare che il qui ricorrente aveva allegato alla

notificazione del ricorso e del decreto di fissazione di udienza un

certificato di residenza della L. in Cerveteri, cioè nell’ambit0 del

circondario del Tribunale di Civitavecchia, sicché in ogni caso la

competenza risultava ben radicata, in quanto operava in via

prioritaria il foro di cui all’art. 33, comma 2, lett. u).

Tanto comporta che debba dichiararsi la competenza del Tribunale

di Civitavecchia sulla controversia. A seguito della riassunzione, lo si

precisa ai sensi dell’art. 49 cod. proc. civ., esso tratterà Ia

controversia con il rito di cui all’art. 14 del d.ls. n. 150 del 2011.

La novità delle questioni esaminate giustifica Ia compensazione

delle spese del regolamento di competenza.

  1. P. Q. M.

La Corte dichiara la competenza del Tribunale di Civitavecchia,

davanti al quale il giudizio andrà riassunto nel termine di cui all’art.

50 del codice di procedura civile. Compensa le spese del giudizio di

regolamento di competenza.

Cosi deciso nella Camera di consiglio delle Sezioni Unite Civili il ….2018